CIMO-FESMED firma la pre-intesa per il contratto 2022-2024 dei medici e dirigenti sanitari

Il Presidente Quici: «Accordo positivo, ma prevalgono ancora posizioni demagogiche contro chi ha scelto il regime di non esclusività che andranno superate nel prossimo contratto. Ora aprire rapidamente il tavolo per il triennio 2025-2027»

Roma, 18 novembre 2025 – Doveva essere una trattativa rapida, e così è stato. Al quarto incontro presso l’Aran è stata firmata la pre-intesa per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari relativo al triennio 2022-2024.

L’accordo prevede aumenti mensili che vanno dai 322 euro lordi per gli incarichi di base ai 530 euro per i direttori di unità operativa complessa dell’area chirurgica, mentre gli arretrati oscillano tra gli 8.066 euro e i 13.480 euro, al lordo dell’indennità di vacanza contrattuale già erogata.

«Siamo complessivamente soddisfatti del risultato ottenuto, che accoglie molte delle richieste da noi avanzate – dichiara Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, il secondo sindacato più rappresentativo della categoria, cui aderiscono ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. Come più volte auspicato, la trattativa si è concentrata sugli aspetti economici, riuscendo a destinare quasi il 90% delle risorse alla parte fissa della retribuzione. Gli interventi normativi sono stati limitati al miglioramento di alcuni punti del testo vigente, che avevano generato difficoltà applicative nelle Aziende, e all’introduzione di poche ma necessarie novità. D’altra parte, con le risorse stanziate dal Governo – sulle quali le parti sindacali, in sede Aran, non possono intervenire – non era possibile fare diversamente».

«Prima dell’avvio del confronto – prosegue Quici – avevamo individuato due priorità: valorizzare i giovani medici e ridurre le penalizzazioni economiche per chi ha scelto il regime di non esclusività. Con questo contratto l’indennità degli incarichi iniziali, assegnati ai professionisti con meno di cinque anni di servizio, sarà rivalutata del 55% a fronte di un aumento che va dal 16 al 20% per gli altri incarichi. Sul fronte della non esclusività, abbiamo ottenuto un aumento dal 55% al 65% rispetto a quanto percepito da chi opera in esclusività: un passo avanti che, tuttavia, riteniamo insufficiente a causa del veto posto da alcune Regioni e da alcune organizzazioni sindacali per motivazioni puramente demagogiche e lontane dalla realtà. Auspichiamo di poter superare questa ingiustizia già nel prossimo contratto. A tal fine abbiamo firmato una dichiarazione a verbale che impegna l’Aran, nella negoziazione del CCNL 2025-2027, a sanare questa discriminazione».

«Ora – conclude Quici – è fondamentale che l’iter di verifica della pre-intesa proceda rapidamente, così da arrivare al più presto alla firma definitiva del contratto e consentire alle Regioni di emanare l’atto di indirizzo per l’avvio delle trattative del triennio 2025-2027. Così facendo, per la prima volta il contratto si riallineerebbe al triennio di riferimento».

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Intramoenia, CIMO-FESMED: «Le liste d’attesa non si risolvono con gli slogan»

Il sindacato di medici: «Sospendere l’intramoenia in caso di liste d’attesa troppo lunghe sarebbe un boomerang per il Servizio sanitario nazionale»

Roma, 17 novembre 2025 – «Davvero si vuole continuare a raccontare la favola che le liste d’attesa siano colpa dell’intramoenia? E che sospenderla farebbe miracolosamente sparire i ritardi? La proposta del Ministro Schillaci su La Stampa è pura propaganda spacciata per soluzione. Appare tra l’altro una contraddizione con quanto deciso da Regione Lombardia, che ha istituito la “superintramoenia” e che probabilmente si estenderà al resto d’Italia: Governo e Regioni non si parlano?». Questa la reazione indignata di Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, all’intervista rilasciata dal Ministro della Salute Orazio Schillaci e pubblicata su La Stampa.

«L’intramoenia – spiega Quici – non ruba un solo minuto all’orario di lavoro: i medici la fanno dopo il turno, visitando più pazienti e trattenendo appena il 30% di quanto chiesto in fattura. Il restante 70% va dritto a finanziare il SSN e, paradossalmente, proprio a ridurre le liste d’attesa. Sospenderla significherebbe solo togliere risorse alla sanità pubblica e regalare pazienti al privato».

«E poi c’è la questione più grave: senza l’intramoenia i medici del SSN avrebbero un altro motivo per andarsene. Risultato? Ancora più carenze, ancora più fughe, ancora più liste d’attesa. Altro che soluzione: sarebbe un boomerang devastante».

«La ricetta per ridurre le attese la conosciamo tutti, tranne chi preferisce lo slogan facile: potenziare la sanità territoriale, riaprire ambulatori e posti letto, assumere personale, riorganizzare e rimettere ordine a un sistema che cade a pezzi. Tutto il resto è fumo negli occhi. Sospendere l’intramoenia non risolve un problema: lo fa esplodere» conclude Quici.

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